Lingua che cambia o errore da matita blu?

Stavo riguardando il video dell’intervista a Caterpillar, divertente. Ma, mentre lo guardavo, concentrandomi più sul contenuto piuttosto che sulla forma, mi sono accorta di aver commesso uno degli errori che più mi infastidiscono nella lingua italiana: la così detta “concordanza a senso”. Ho detto errore, ma forse anche no, dipende dai punti di vista.

Innanzitutto vediamo di cosa stiamo parlando: si sa che soggetto e verbo dovrebbero concordare per genere e numero; talvolta però, succede che un nome, soprattutto se collettivo, non concordi a livello grammaticale con il verbo, ma che la concordanza avvenga a livello logico. Lo stesso avviene con espressioni del tipo “la maggior parte di…”, “gran parte dei…”, nelle quali spesso il verbo non è coniugato al singolare, come vorrebbe la grammatica, dato che il soggetto è “la maggioranza” o “parte”, ma al plurale, poiché si riferisce ai soggetti logici della frase.

Un esempio per chiarire: “gran parte degli studenti sono in difficoltà con la lettura”: il verbo “sono” si riferisce, ovviamente, a “studenti”, e non a “parte”. Ebbene, secondo l’Accademia della Crusca, ormai si tratta di un uso talmente frequente che non è da considerarsi un errore; questo tipo di espressione deve essere largamente accettato perché ormai parte integrante della nostra lingua: “Si tratta del tipico mancato accordo soggetto-predicato (concordanza a senso), tanto più in presenza di un collettivo, largamente accolto e per nulla percepito come irregolare, cosicché la sua piena accettabilità potrebbe essere sancita anche dalla norma e alcuni linguisti ne hanno proposto l’inserimento in una “lista di tolleranze” per evitarne la censura da parte di correttori troppo rigorosi”.

Non sono d’accordo. Naturalmente non mi permetto di criticare la Crusca, riferimento indispensabile per informarsi sul corretto uso della lingua, ma c’è qualcosa che non mi torna: “alcuni linguisti ne hanno proposto l’inserimento in una “lista di tolleranze” per evitarne la censura da parte di correttori troppo rigorosi”. Ma dai! Scherziamo? Questo vorrebbe dire che un errore, solo perché è commesso da molti (forse dai più, lo ammetto), dovrebbe modificare la lingua anziché essere censurato?

Non so, io sono sicuramente molto rigida, e la lingua naturalmente deve evolversi, senza dubbio (per fortuna, dovrei dire!); ma certe cose non riesco proprio a capirle.

Bisognerebbe intanto stabilire dove stia il confine tra l’evoluzione linguistica e l’errore, perché andando avanti di questo passo si arriverà alla totale anarchia: ognuno potrà esprimersi come meglio crede, contando su quelle stesse “liste di tolleranza”.

A che pro studiare grammatica a scuola, o chiedere ai maestri di correggere i compiti, se poi non c’è un giusto-sbagliato a cui fare riferimento?

Quali sono le espressioni che possono essere tollerate e, quindi, usate nel linguaggio comune, e quali, invece, non sono accettabili?

In base a cosa viene effettuata una scelta del genere?

Certo, il caso sopra citato è estremamente diffuso (come dicevo, l’ho commesso anch’io, che cerco di stare attenta a non commettere questi errori che suonano alle mie orecchie come graffi sulla lavagna), ma ce ne sono molti altri che si commettono quotidianamente e che, ormai, non si percepiscono nemmeno più come tali: possiamo accettarli tutti?

No.

P.S.: questa “invettiva”, connessa al tema del “degrado” della lingua e soprattutto di quella utilizzata nel parlato quotidiano, è la prima di una serie di riflessioni in merito a diversi usi impropri dell’italiano, spesso fatti per questioni di semplificazione, altre volte (paradossalmente, lo vedremo) perpetrati nel tentativo di sembrare maggiormente forbiti o più formali. Ci vediamo alle prossima puntata!